Io, rugbista in smoking. L’intervista a Denis Dallan

Io, rugbista in smoking. L’intervista a Denis Dallan

Denis Dallan è tra i personaggi sportivi più poliedrici del nostro Paese. Ex rugbista, capitano della Nazionale della palla ovale, si “diletta” nel canto (è un tenore) e da qualche anno gestisce un progetto sportivo e sociale a Viareggio, dal nome “I Titani”.

Può capitare che due strade si possano incrociare, che due mondi apparentemente così distanti, quasi opposti, come rugby e canto lirico riescano a incontrarsi. Da una parte lo sport per eccellenza dell’agonismo, della potenza, della grinta; dall’altra una passione fatta di eleganza, di portamento, di timbro vocale. Due strade che si sono incrociate in una sola persona, quel Denis Dallan che ha abbinato, in carriera, alla maglia da gioco sporca di fango lo smoking, ai calzoncini macchiati d’erba il papillon, che ha usato la voce per incitare la squadra prima delle partite e ora sfrutta la sua vocalità per ammaliare il pubblico.

Inarrestabile in campo, quando correva verso la meta avversaria, così come nella vita. Denis, infatti, è come se ne avesse vissute più di una, di vite. Ritiratosi dall’attività agonistica nel 2010 dopo 10 anni di rugby (di cui 8 vissuti in azzurro) che lo hanno portato a vincere 7 campionati italiani e uno francese, Dallan si è tolto scarpini e calzoncini per indossare lo smoking da tenore. Ha studiato canto, si è rimesso in gioco, cantando anche l’inno di Mameli davanti agli 80.000 di San Siro in occasione di un’Italia-All Blacks. Ora è responsabile di un progetto sportivo e sociale a Viareggio, progetto che lo ha portato a insegnare il rugby e i suoi valori a centinaia di bambini.

Denis Dallan ci ha parlato del suo passato, del suo presente e dei suoi progetti futuri.

Denis, partiamo da quell’Italia-All Blacks del 2009, quando cantasti l’inno azzurro davanti agli 80.000 di San Siro. Che emozione è stata?

È stato bellissimo perché era la prima volta che cantavo l’inno, oltretutto di fronte ai miei ex compagni con i quali per tanto tempo ho condiviso il campo. Un’emozione unica, da brividi: 80000 persone che cantavano con me, da pelle d’oca. Il fatto che ero abituato, come giocatore, al pubblico da stadio, sicuramente mi ha aiutato a tenere la voce ferma. Ma resta il fatto che è stata una sensazione indimenticabile, è stato come scendere in campo, ancora una volta, al fianco dei miei compagni.

Da quando hai iniziato a giocare, fino a quando hai appeso gli scarpini al chiodo, come e in cosa vedi evoluto il movimento rugbistico italiano?

L’Italia ha attraversato sicuramente un periodo molto buio e duro non riuscendo ad adeguarsi ai parametri internazionali di formazione e sviluppo del movimento. Un deficit fisico e tecnico troppo alto che non ha permesso alla nostra nazionale di avere un confronto di pari livello con molte altre nazionali del mondo. Speriamo che il lavoro che si sta facendo ora paghi con risultati nel prossimo futuro.

Cosa si porta dentro Denis Dallan dalla sua esperienza come rugbista?

Domanda ampia, potrei stare qui a parlare per ore. Il mio bagaglio raccoglie rapporti di amicizia, esperienze di vita con veri amici, prima che compagni, che hanno rappresentato una parte di gran lunga importante della mia vita. Dal punto di vista prettamente sportivo mi porto dentro soddisfazioni, vittorie, 7 titoli italiani e uno francese, nel più rinomato club al mondo, lo Stade Française. Tutto ciò è all’interno di un bagaglio di esperienze che oggi sono felice di mettere a disposizione per la crescita del progetto “I Titani”.

C’è poi il canto lirico, una scelta davvero insolita per un rugbista…

La passione per il canto è nata con me. Si tratta di una strada parallela al mio percorso nello sport. Cantavo sempre e ovunque quando ero piccolo e, da giocatore, andavo al campo sempre un paio d’ore prima per sfruttare l’acustica perfetta degli spogliatoi e allenarmi nel canto. Un anno, in occasione del tour estivo in Nuova Zelanda, ci ha accolto una squadra locale con danze maori veramente forti e impressionanti. A noi sarebbe poi toccato fare il contro saluto ed il manager ci chiese di dire tutti insieme…il Padre Nostro. Noi, imbarazzati, non sapevamo se fosse opportuno “ribattere” con una preghiera, dunque mi hanno chiesto di cantare e ho intonato “Un amore così grande”. Almeno, in quell’occasione, posso dire che abbiamo vinto…

Ci parli di questo progetto che da qualche anno state attuando a Viareggio, I Titani?

Sono capitato a Viareggio per la mia compagna, Lisa. Quando sono arrivato si trattava di un territorio vergine per la cultura rugbistica , perfetto per costruire qualcosa di grande partendo da zero o quasi. “I Titani” è innanzitutto un progetto di sport, avviato con alcuni miei compagni di Nazionale come Mauro Bergamasco e Fabio Ongaro. Il progetto vuole essere una “accademia di vita”, che dia la possibilità a tutti ragazzi di essere seguiti da allenatori professionisti, e che li faccia crescere in un ambiente sportivo, sano e disciplinato. Abbiamo diverse realtà che trovano ne I Titani un punto di riferimento: aiutiamo famiglie in difficoltà che altrimenti non potrebbero permettersi di mandare il proprio figlio a fare sport. Per questo siamo definiti la “famiglia delle famiglie”.

Cosa vedi nel futuro dei ragazzi che oggi condividono questo progetto?

Vedo sicuramente la parola “crescita”. Una parola che va di pari passo sia a livello tecnico/fisico che a livello umano ed etico. La nostra filosofia si porta dietro ovviamente i valori del rispetto, dell’educazione e del sacrificio. Nel giro di 4 anni, con impegno e sacrifico, ho portato un ragazzo, Filippo Alongi, a giocare in nazionale Under 18 e Under 20, spero che il suo percorso sportivo possa continuare a crescere. In generale abbiamo tantissimi bimbi ed è meraviglioso affiancarli nella loro crescita come “persone”, perché, prima di tutto, sono importanti i valori umani.

titanirugby.com

Alessandro Creta