Oltre la meccanica, l’italiano che rese umani i “mostri”

Oltre la meccanica, l’italiano che rese umani i “mostri”

Con una mostra inedita, Roma rende omaggio al maestro italiano degli effetti speciali, Carlo Rambaldi, per riscoprire attraverso le sue creazioni restaurate una pagina di storia del cinema nostrano e internazionale.

Un po’ artigiano, un po’ ingegnere, Carlo Rambaldi è stato uno dei massimi esponenti della meccatronica, la disciplina nata dall’unione della meccanica e l’elettronica che egli seppe portare a livelli mai raggiunti prima grazie al fortunato incontro con l’arte cinematografica hollywoodiana. L’esposizione intitolata “La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium”, a cura di Carlo Libero Pisano presso il romano Palazzo delle Esposizioni, celebra il suo ingegno, ricostruendo tramite un percorso interno alla sua opera l’evoluzione di questa branca.

Nella sua lunga carriera, Rambaldi, scomparso nell’agosto 2012, ebbe modo di collaborare con i più grandi registi del panorama internazionale, da Monicelli a Pupi Avati, passando per Spielberg e David Lynch. Non c’è genere che non abbia impreziosito con la sua arte: l’horror, come in “Profondo Rosso” di Dario Argento o “La mano” di Oliver Stone, la fantascienza, l’epica con “Conan il distruttore”, il giallo e il surreale.

Sbarcò negli Stati Uniti negli anni Settanta e proprio qui diede vita ad alcuni dei pupazzi e delle creature più iconiche della storia del cinema. Dei mostri che di fatto hanno unito le generazioni, così credibili e reali da essere diventati parte di un patrimonio culturale collettivo e da avergli fatto vincere più volte l’Oscar. Il primo è arrivato nel 1976 con “King Kong”, il secondo con “Alien”, pellicola diretta da Ridley Scott, il terzo con l’amatissimo “E.T. l’extraterrestre”. Basti pensare che per il film “Una lucertola con la pelle di donna” di Lucio Fulci dovette rispondere dell’accusa di maltrattamento di animali, tanto erano vividi i suoi modellini.

Carlo Rambaldi con ET

Il successo di questi esseri meccanici si deve infatti principalmente al fatto che riuscì a conferirgli un’umanità e un’emozione inaudite per delle creature artificiali. E se può apparire banale per chi è abituato all’effettistica digitale, negli anni ‘70 e ‘80 non lo era affatto. Uno degli obiettivi della mostra è perciò anche quello di tracciare una linea immaginaria tra il passato e il presente e far luce sulla continuità con i moderni sviluppi digitali degli effetti speciali.

Oltre a una serie di modelli e progetti tecnici, restaurati dal gruppo Makinarium, sono esposti nella mostra il suo primo brevetto, molti dei suoi bozzetti, degli studi e delle annotazioni che hanno preceduto la versione definitiva di personaggi come Pinocchio, realizzato per la miniserie omonima diretta da Luigi Comencini nel 1972 e prodotta dalla Rai. Un vero cult della tv, apprezzato dal pubblico soprattutto per tre motivi: la colonna sonora, firmata da Fiorenzo Carpi; il cast, formato da Nino Manfredi nei panni di Geppetto, Gina Lollobrigida, (la Fata Turchina), Franco e Ciccio (il gatto e la volpe), Vittorio De Sica, (il giudice), il burattino che, oggi, possiamo attribuire a Rambaldi.

Dietro alla realizzazione del modello meccanico usato nella pellicola, si cela infatti una spiacevole vicenda di plagio. Per lo sceneggiato, Rambaldi ideò a sue spese tre differenti prototipi di Pinocchio, così da mostrare ai produttori e al regista, i movimenti del suo burattino. Nessuno si fece più vivo per mesi, fino alla scoperta che le riprese erano state avviate copiando la sua invenzione. L’artista intentò così una causa, chiese una perizia per stabilire che quel burattino usato dalla Rai era frutto dei suoi studi e il tribunale deliberò in suo favore.

La mostra dedicata al “maestro dei mostri” è quindi un’occasione per riscoprire l’opera di un grande artista dell’epoca predigitale, per vedere da vicino la gigantesca mano di King Kong (ben sette metri!) ma anche per conoscere i segreti della magia degli effetti speciali, sempre più protagonisti del cinema di nuova generazione.

22 ottobre 2019 – 6 gennaio 2020

www.palazzoesposizioni.it

Ph: © Fondazione Culturale Carlo Rambaldi

Beatrice Vecchiarelli