Mauro Uzzeo: oltre i confini del fumetto – L’intervista di Raffaele Giasi

Mauro Uzzeo: oltre i confini del fumetto – L’intervista di Raffaele Giasi

Mauro Uzzeo

Sceneggiatore, regista, organizzatore di festival di successo: nella produzione di Mauro Uzzeo c’è uno dei centri nevralgici del fumetto italiano, complice una carriera inarrestabile che va spingendosi sempre verso confini inesplorati

Assieme ai suoi soci “Arfers” già da qualche anno Uzzeo ha sviluppato e porta avanti il progetto di ARF Festival. Un momento di incontro per il mondo del fumetto a Roma, in cui è forte la volontà sovversiva di rendere al fumetto non solo lo spazio che merita, ma forse anche quella “giustizia mediatica” che non sempre gli si confà. Proprio in occasione della chiusura dell’ultima edizione di ARF, la quinta, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Mauro, sia per capire meglio lo spirito “sovversivo” di ARF, sia per scoprire progetti e piano di un autore quanto mai poliedrico e prolifico.

Allora Mauro, su tutto, perché è importante che in Italia esista una fiera come ARF?

Quando l’ARF è nata con lo scopo di essere una fiera dedicata, solo ed esclusivamente, al fumetto, le motivazioni erano più di una. La prima era proprio questo rendersi conto che le fiere del fumetto si stavano trasformando sempre di più in fiere dell’intrattenimento a 360°. Questa cosa andava in controtendenza col fatto che, invece, proprio a Roma ci fosse un fermento fumettistico enorme, perché solo a Roma (per coincidenza) si sono ritrovati alcuni tra gli autori di fumetto che, in quel momento, erano sulla bocca di tutti. Penso a Zerocalcare, a Gipi, a Giacomo Bevilacqua, a Ceccotti, a Recchioni. Volevamo quindi creare un momento che fosse dedicato solo al fumetto.

Quali sono gli obiettivi che vi state proponendo per la prossima edizione?
In realtà ogni edizione finisce con qualche strascico che poi cerchiamo di portare nell’edizione successiva. Ci sono, ad esempio, alcune grandi mostre che personalmente mi piacerebbe portare all’ARF. Per ora mi limiterei a dire che ci sono diverse cose su cui dobbiamo ancora lavorare. Io e i miei soci fondatori (Stefano Piccoli, Paolo Campana, Fabrizio Verrocchi e Daniele “Gud” Bonomo ndr) abbiamo imparato un sacco di cose nel corso di questi anni, e molto è stato possibile grazie al supporto di tante figure importanti che si sono unite al nucleo iniziale, e che ci hanno permesso di crescere. Questo mi porta a pensare che il prossimo anno dovremmo, in qualche modo, rendere ancora più corale l’organizzazione del festival così da riuscire a creare un evento ancora più ambizioso.

Passando a te: sei uno sceneggiatore di fumetti, uno sceneggiatore di film, un regista. Ma quali pensi siano gli abiti che ti calzano meglio?

Me lo sono chiesto tante volte, e devo dire che, per quanto la mia fascinazione totale sia per i fumetti, più vado avanti e più mi accorgo che mi piace stare nei gruppi che portano a termine le imprese. Un esempio è quello del cartone animato dedicato a Dragonero. Lì sto seguendo il progetto sia per gli aspetti relativi alla sceneggiatura con Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi (supervisionati dai grandi Enoch & Vietti) sia affiancando il regista Enrico Paolantonio per capire fin dove, tecnicamente, possiamo spingerci. Mi sta dando grande soddisfazione contribuire fino all’ultimo, collaborando col reparto produttivo e la visione di Vincenzo Sarno, Giovanni Mattioli e Antonio Navarra, confrontandoci passo passo con la RAI, fino a consegnare il prodotto finito che va in onda. Il fumetto, se ci pensi, ha una dimensione più “raccolta”, molto personale.

Il fumetto in Italia come sta secondo te?

Viviamo in tempi interessantissimi, nel senso che siamo in una fase di transizione dei mercati, e lo status quo che vigeva un tempo è cambiato. La vendita si è spostata dalle edicole alle fumetterie, e poi si è spostata ancora verso l’online e verso le librerie. È come se improvvisamente gli addetti della più grande religione del pianeta iniziano a perdere tutti i loro templi, dovendo rifugiarsi in altri luoghi di culto. Questa cosa ha portato ad una trasformazione importante dal punto di vista editoriale, perché, appunto, si transita verso altri mercati, e la migrazione è ancora in corso. Ovviamente io non sono un analista, né un esperto di marketing e vendite, ma da lettore, più che da autore, posso dirti che viviamo tempi interessanti perché, con la fine dello status quo, è nato un enorme fermento creativo.

A questo punto di vorrei chiedere, per pizzicarti un po’, come giudichi la critica del fumetto? Personalmente, credo siamo in un momento in cui il fumetto in Italia è artisticamente ai massimi livelli. Il livello medio è incredibile, ed è difficile stare al passo. Io stesso mi rendo conto che sto invecchiando perché vedo nascermi sotto gli occhi realtà editoriali di cui non sapevo niente e che invece sono seguitissime, e credo che non sia tanto differente per la critica. La vedo arrancare, nel senso che, salvo il grande lavoro che fanno alcuni, che hanno tutta la mia stima, mi piacerebbe che la critica in generale trovasse la strada della professionalità, invece di restare relegata alla sfera hobbystica, anche solo per meri motivi economici. Mi rendo conto che probabilmente è un’utopia, perché veramente c’è poca gente che viene realmente pagata per fare critica cinematografica, quindi, figurati se troviamo gente pagata per fare critica fumettistica. Però questo non può, anzi non deve, essere un motivo per abbassare il livello.

Anni fa si diceva che i punti di riferimento della produzione fumettistica europea erano la Francia e il Belgio. Secondo te l’Italia ha recuperato questa sorta di “gap intellettuale”?

Sicuramente oltralpe c’è questo atteggiamento più reverenziale verso il fumetto, ma non so se questa cosa sia sempre un bene e credo che le cose più interessanti nascano soprattutto quando un genere non è totalmente accettato ma è considerato “pirata”. Solo allora gli è concesso sperimentare e fare cose folli. Nonostante questo, va detto che oggi in Italia c’è talmente tanto splendore nei lavori di un Gipi, di un Martoz, ma anche nei lavori di Rita Petruccioli, ed abbiamo avuto produzioni da edicola così belle e raffinate, come Mercurio Loi, che anche chi è abituato ad un certo tipo di fumetto più “alto” resterebbe esterrefatto se si guardasse davvero attorno.

Prima di chiudere parlami de “Il Confine”. Come nasce l’idea di questo coraggioso progetto transmediale?

Sono anni che io e Giovanni Masi (che sta sviluppando il progetto con Uzzeo ndr) stiamo pensando a sviluppare un qualcosa che sia nostro visto che principalmente, nelle nostre carriere, ci siamo trovati principalmente a lavorare su proprietà intellettuali create da altri. Quando poi abbiamo avuto l’occasione di proporre qualcosa di veramente nostro, abbiamo deciso di sviluppare un qualcosa che potesse far dialogare i diversi frangenti delle nostre reciproche esperienze lavorative, miste tra fumetti, serie TV e cinema. E così, ormai tre anni fa, abbiamo ragionato sull’idea di un mondo, sviluppato in una grande storia, e che fosse declinabile in vari ambiti, tutti al servizio di un prodotto unico, organico e sfaccettato.

Giusto per curiosità: l’idea vi è nata dopo il boom di The Walking Dead?

Sicuramente il riferimento produttivo che si voleva all’inizio era proprio come The Walking Dead, che nasce come serie TV e serie a fumetti, con la serie TV che arriva un po’ dopo, salvo poi camminare di pari passo, arrivando poi ad ulteriori declinazioni. Ne abbiamo parlato a lungo anche con Robert Kirkman (il creatore di The Walking Dead, ndr) stesso, che ci ha dato consigli rivelatisi davvero ottimi.

Ma avete già pianificato tutto? Anche il finale?

Posso dirti che abbiamo già pronto il finale. Lo abbiamo già scritto, ma non te lo spoilero! Considera che la serie è stata progettata insieme al suo finale, tuttavia abbiamo sviluppato un’idea per cui ne Il Confine sarà possibile raccontare una moltitudine di storie, speriamo, sempre appassionati.

Raffaele Giasi