Nato con la camicia – L’intervista a Lucio Presta

Nato con la camicia – L’intervista a Lucio Presta

Di Lucio Presta, cosentino doc, si conoscono le gesta professionali che lo hanno condotto al successo come produttore e nume tutelare degli artisti più brillanti del mondo dello spettacolo – per citarne alcuni Benigni, Bonolis, Perego – e che gli sono costate l’appellativo di eminenza grigia della televisione.

Il successo, fonte inesauribile di maldicenze per invidiosi o frustrati, espone anche al pericolo di giudizi superficiali e pretestuosi che lo attribuiscono più a metodi discutibili che ad un lavoro capillare e costante attraverso cui raggiungere quell’autorevolezza necessaria a chi si assume la responsabilità della vita degli altri.

Nel libro “Nato con la camicia”, edito da Mondadori Electa e scritto da Lucio Presta a quattro mani con la cugina Annamaria Matera, emergono invece aspetti sconosciuti e toccanti della sua intimità che ci permettono di considerare il suo percorso sotto una luce diversa da quella della ribalta. Eventi che dalla nascita ai primi trent’anni di vita ne hanno forgiato il carattere e che hanno impresso nella sua anima quello slancio vitale con cui si è disimpegnato dalla sofferenza che la vita, violentemente e ineluttabilmente, gli ha posto davanti.

Dopo aver letto il suo libro possiamo dire che il più grande successo di Lucio Presta è quello di aver saputo trasformare gli ostacoli in trampolini di lancio che non lo hanno mai allontanato dalla sua anima, dalle sue origini e dalla sua storia personale, che sono stati i veri strumenti con cui ha raggiunto i suoi obiettivi.

Dalle pagine emergono tratti delicati del suo carattere, tratti che lo hanno reso schivo e intento a proteggere il battito del suo cuore, quell’organo che realmente determina chi siamo. Scendono sul palco della vita un padre i cui silenzi segnano il tempo, una mamma che un destino crudele gli ha portato via, ma anche l’affetto della zia Lidia che gli ha fatto da madre seguendo la sua crescita contrassegnata da un senso di solitudine che sembra appartenere a chi viene da un altro pianeta e incessantemente cerca casa negli affetti, quelli veri che non tradiscono e non ci lasciano mai.

È un libro vibrante di contrasti, di partenze e di ritorni, di allontanamenti e avvicinamenti soprattutto verso l’ anima che Lucio, capace di gioire e di soffrire nella stessa profonda misura, ha voluto condividere con il pubblico, insegnando forse inconsapevolmente agli altri che di dolore si può guarire quando si ha il coraggio di mostrare il proprio vero volto. A Presta il seguito…

Il titolo del suo libro evoca una dimensione superiore dominata da leggi che governano la nostra vita. Lei crede in qualcosa di superiore?

Assolutamente sì, ho una fede incrollabile. Credo che ognuno di noi abbia un percorso da compiere. Il mio prevedeva che partissi con un handicap importante per un bambino, ma da cui sono nati gli strumenti e i prodromi per cui la vita mi potesse restituire quello che al momento poteva apparirmi un maltolto.

Da cosa è scaturito il desiderio di rendere pubblico il suo percorso umano?

L’ho fatto per far conoscere ai miei figli una parte della mia vita che non abbiamo potuto condividere perché i casi e gli eventi hanno fatto sì che non frequentassero la mia famiglia d’origine. Volevo che gli fossero tramandati gli eventi e gli aneddoti che ci legano. Ho assecondato quel desiderio di lasciare loro una traccia delle origini che ci accomunano.

L’ambiente da cui proveniamo è molto importante. Quali insegnamenti pensa di aver ricevuto dalla sua terra e dalla sua famiglia?

Dalla mia terra la cocciutaggine, mi piace la determinazione a perseguire un obiettivo. Dalla famiglia di mia madre ho ereditato la disciplina, l’ordine, l’etica nelle relazioni e da mio padre invece la vena artistica.

Nel libro emerge chiaramente il rapporto conflittuale con suo padre. Cosa resta di lui nella sua memoria?

Di mio padre restano i tanti silenzi, i troppi silenzi, cose non dette, cose non chiarite. Se posso dare un consiglio suggerisco a chiunque abbia rapporti difficili con i genitori o viceversa, di non perdere tempo ad inseguire pensieri ma di parlare per chiarire gli insoluti.

C’è un momento molto intimo e profondo dove racconta la drammatica coincidenza di eventi avvenuta alla sua nascita, in cui sua madre ha perso la vita. Ritiene che questo evento abbia rappresentato per lei un punto di forza o di debolezza?

Mi considero nato con la camicia. Paradossalmente ha rappresentato una fortuna, se così si può dire di un bimbo che perde l’unica cosa che possiede, la mamma. Da lì è scaturita la forza di farcela a tutti i costi e la vita mi ha restituito tutto quello che mi aveva tolto, anche se poi mi sono trovato ad affrontare dolori altrettanto forti.

Questo libro è stato anche un modo per riavere sua madre con sé?

Sì, una maniera per ripercorrere la mia vita come se mi fosse sempre stata vicina. Del resto mi sono sempre rivolto a lei nei momenti di difficoltà e penso che in qualche modo mi abbia aiutato. Diciamo che nella sfortuna mi considero fortunato per aver avuto zia Lidia che mi ha fatto da mamma e a cui sono grato oltremisura per avermi amato e fatto diventare quello che sono.

Nel suo libro la vita e la morte, la gioia e il dolore si inseguono costantemente. Chi l’ha aiutata a superare la perdita della donna che le ha fatto da madre e poi quella di Emanuela da cui ha avuto i suoi figli?

L’amore che provo per i miei figli è stato fondamentale. E poi una fede incrollabile. Non sono mai stato solo ad affrontare queste prove che il Signore mi ha messo davanti, so che posso contare sul suo aiuto. Ho trovato sempre nella preghiera, nelle amicizie e nel conforto delle persone care la forza per ripartire e soprattutto l’amore per i miei figli che meritano la massima presenza del padre.

Nel suo libro si percepisce molta sofferenza sublimata dal desiderio di indipendenza. Quanto è importante per lei la libertà?

La libertà è il fondamento della mia vita. Ho voluto rendermi indipendente fin da piccolo, recentemente il sindaco di Praia a Mare, in cui ho fatto le prime esperienze lavorative, mi ha incorniciato e regalato il primo libretto di lavoro che ho preso all’ufficio di collocamento. Avevo 14 anni e da allora non mi sono mai fermato.

C’è ancora nei suoi occhi qualcosa del ragazzo che ha lasciato la sua terra?

Tutto, quello sguardo non è mai cambiato. La mia fortuna è dovuta proprio agli occhi con cui guardo il mondo e che mi fanno vedere le possibilità che questo offre per realizzare i propri sogni.

Attribuisce la sua realizzazione umana ad un’attitudine, all’istinto o a qualcuno che ha riconosciuto il suo potenziale?

Sono tutte e tre le cose insieme, sicuramente il carattere forte, incontri magici sia con donne che con uomini che hanno segnato fortemente la mia vita. Il successo di una persona, bisogna poi definire cosa si intende per successo, diciamo la realizzazione di un uomo passa da tante strade. Io ho avuto la fortuna di trovare “aperto il casello” e proseguire per tratti che mi hanno reso quello che oggi sono.

Di lei emerge un grande coraggio, ha mai avuto paura di qualcosa?

Io ho paura tutti i giorni, di non essere all’altezza del mio compito umano e professionale, ho paura di morire prima di aver visto i miei figli realizzati anche se oggi hanno già la strada ben segnata. Ma la paura è anche il grande motore che ti permette di superare gli ostacoli.

Il suo libro contiene un messaggio?

Non era nel mio intento lasciare un messaggio, ma posso dire che ognuno di noi può partire con un peso sulle spalle e arrivare sulla vetta senza nessun problema, l’importante è la determinazione, il desiderio di raggiungere un obbiettivo e, soprattutto, di non assumere atteggiamenti vittimistici ma fare di quello che ti succede uno sprone per ripartire in modo più motivati.

Alba Mayer