Calcio italiano, codice rosso

Calcio italiano, codice rosso

Quasi un anno è trascorso dalla più cocente delusione del calcio italiano delle ultime 6 decadi. Nel novembre 2017 l’Italia veniva estromessa dal Mondiale per mano della Svezia: un fallimento che rappresentò la punta di un iceberg fatto di investimenti sbagliati, mancata valorizzazione dei nostri giovani talenti, di un sistema politico e sportivo incapaci di valorizzare al meglio la scia del successo targato 2006.

Marco Bellinazzo, massimo esperto di calcio e finanza e giornalista de “Il Sole 24 Ore”, ha provato ad analizzare nel suo libro “La fine del calcio italiano” (Feltrinelli) tutti i motivi che hanno trasformato la Serie A da campionato più bello e competitivo del mondo a lega di terza o quarta fascia a livello europeo. E nemmeno l’arrivo di un marziano come Cristiano Ronaldo potrebbe essere la cura tanto attesa per il nostro calcio, ma una mera iniezione di adrenalina nelle vene di un malato terminale. Per alleviarne il dolore nell’immediato, ma che non fa altro che allungarne la sofferenza…

Partiamo dalla domanda al centro del suo libro: riassumendo, perché non ci siamo qualificati ai Mondiali?

Apparentemente per il palo colpito da Darmian a Stoccolma, un pallone che se fosse entrato ci avrebbe portato invece in Russia. Ma più che una qualificazione sarebbe stata un’illusione rispetto a un declino sportivo e economico. È una crisi che viene da lontano e che quell’evento, definito da Tavecchio “apocalisse”, ha messo sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che non volevano vedere. È stata la punta di un iceberg.

Dobbiamo ricondurre il tutto a mancanza di talenti, a una cattiva gestione dei giocatori, o fondi monetari non investiti a dovere?

Io penso che sia un mix di tante cause, come spesso avviene in disastri del genere. Sono fattori tra di loro collegati, per questo è difficile distinguere le cause dagli effetti. Una colpa risiede nell’incapacità di manager e proprietà di trasformare le ricchezze degli anni ’90 in investimenti che potessero rinnovare quei modelli calcistici che stavano invecchiando. Questa mancata programmazione e investimenti sbagliati hanno determinato un progressivo rallentamento della Serie A, mentre in altri paesi e in altre leghe (Premier, Bundes, Liga) si correva, si spendeva bene e si innovava.

Secondo lei, quando ha iniziato a decadere il nostro campionato?

Io individuo attorno al 2000 il momento in cui questo declino ha iniziato a manifestarsi. Considerato che fino al 2002/03 Inter e Milan avevano gli stessi ricavi di Real e Barcellona, dopo poco più di un decennio invece ne hanno un terzo. Quindi è evidente che in quella fase in Italia iniziavano a manifestarsi dei problemi che invece di essere affrontati e risolti, attraverso investimenti e programmazioni, venivano mascherati anche con manovre di raggiro contabile. Fattori che poi hanno determinato fallimenti a catena e involuzione del sistema. Altrove invece venivano fatti investimenti su strutture, vivai, programmazione delle società che hanno determinato un cambio di passo e un cambio ai vertici del sistema calcistico europeo.

Il suo libro non è solo la storia del nostro calcio ma traccia uno specchio del Paese. Che analogie trova tra questi due mondi?

Io credo che il declino del calcio italiano non sia frutto di un suicidio ma di un omicidio. Un omicidio commesso dall’asse politico/finanziaria che ha sfruttato il calcio, l’ha strumentalizzato piegandolo ai propri interessi. Tutta la storia del declino del calcio è connessa alla crisi economica del Paese: dal crack Cirio e Parmalat, ai fallimenti di grandi aziende, alle difficoltà di famiglie storiche che hanno finanziato il calcio specialmente nell’area milanese. La colpa va ricondotta all’establishment politico, finanziario, industriale del Paese che ha usato il calcio, l’ha tenuto ostaggio senza lasciarlo sviluppare secondi i migliori esempi che arrivavano dal resto del mondo.

Il mondo dell’informazione e del giornalismo, secondo lei, ha troppo taciuto di fronte a questo fallimento, non denunciando la questione quando sono iniziate le prime difficoltà?

Mancava anche un po’ di cultura di questi aspetti economici legati a calcio e sport. Chi poteva ha cercato di farlo notare, ma è stato talmente un incancrenirsi della situazione che era anche difficile capire il contesto, trovando le ragioni di questo declino. Non è certo un’assoluzione della categoria, ma può essere un’attenuante.

Crede che l’arrivo di Ronaldo in Italia possa invertire il trend? O la Serie A godrà solo della luce riflessa del portoghese?

Parliamo di un giocatore che sposta la luce verso la Serie A, ma non si deve cadere nell’errore che con lui i problemi del calcio italiano spariscano. Ronaldo non può essere certo una cura, pensare questo significherebbe reiterare un modello che ha portato al declino del nostro calcio. È sicuramente un vantaggio per la Juventus ma è un’operazione i cui benefici sul calcio saranno limitati, se non si effettueranno quelle riforme e interventi strutturali che andrebbero fatti a prescindere dall’arrivo di Ronaldo. Il sistema calcio (serie A, B e Lega Pro) ha 4 miliardi di debiti ed è questo il vero dato preoccupante, cifre che l’operazione Ronaldo non può nascondere. È un dato oggettivo, ci si fa abbagliare dall’operazione Ronaldo senza tener conto di questi numeri.

In sostanza: talenti stranieri che diano nuova linfa al nostro calcio, crescere le nuove leve anche riorganizzando i settori giovanili, migliorare le infrastrutture…quale può essere una cura per il nostro calcio?

Quando il paziente è così grave come il nostro calcio non esiste una sola medicina. Ho provato a indicare i rimedi alla fine del mio libro, si tratta di ricette che sono state attuate all’estero e che in Italia potrebbero godere di nuovo slancio, ricostruendo l’ossatura del calcio italiano. In questo modo i talenti arriveranno, i risultati arriveranno, così come la ricchezza prodotta permetterebbe di subire eventuali sconfitte senza far precipitare la situazione. È preoccupante che il Bari possa fallire 2 volte in 4 anni, che il Cesena sia fallito, che il Chievo sia ricorso a plusvalenze fittizie per iscriversi al massimo campionato. Se però si riescono a fare tutte le riforme necessarie, gli investimenti necessari, magari anche ospitando un grande evento internazionale, non escludo che possiamo tornare ai fasti della fine degli anni 90.

Marco Bellinazzo – La fine del calcio italiano. Feltrinelli.

Alessandro Creta