“Fare l’attore è la cosa più bella del mondo”

“Fare l’attore è la cosa più bella del mondo”

Parola di Sir Ian McKellen, uno che di palcoscenici e set se ne intende parecchio. A tu per tu con l’interprete inglese, tra i più apprezzati artisti del mondo, che ha incontrato a Roma giornalisti e pubblico conquistando tutti con la sua ironia e la sua schiettezza. Un dialogo che ha messo in evidenza quella che ormai è una certezza: nonostante lui creda il contrario, la sua vita è davvero un argomento interessante.

Il mondo del cinema è pieno di star e di protagonisti della pellicola che ne hanno fatto la fortuna e che continuano ad attirare in sala tantissimo pubblico. Gli attori di successo sono numerosi, ma tra questi vi sono anche dei veri Attori. La A maiuscola è d’obbligo quando si parla di Sir Ian McKellen, artista britannico tra i più grandi interpreti shakespeariani viventi.

In molti – troppi – riconducono il suo volto solo ad alcuni personaggi delle saghe cinematografiche più famose degli ultimi anni, come il Gandalf di “Il Signore degli Anelli” e di “Lo Hobbit” o il Magneto degli “X-Men”, ma la grandezza di questo artista è molto più vasta. Ne ha
dato un ulteriore assaggio nel corso dell’ultima Festa del Cinema di Roma quando si è presentato di fronte a una folla di giornalisti entusiasta per parlare del documentario sulla sua vita “McKellen: Playing the Part”, diretto dal giovane regista Joe Stephenson – anch’egli presente ma, data la “mole” del suo accompagnatore, quasi del tutto ignorato.

Ne è nato un dialogo tra questo gigante della recitazione (teatrale prima ancora che cinematografica) e gli astanti in cui Sir McKellen ha dato modo di sbirciare nella propria intimità e di svelare alcuni dettagli della propria persona, mostrando ancora una volta di essere ironico, disponibile e brillante, per nulla intimorito dalle numerose domande o dalle bizzarre richieste («Può ripetere ora davanti a noi la battuta di Gandalf “Tu non puoi passare!”?»… le urla di gioia quando ha acconsentito si sono probabilmente sentite fin fuori l’Auditorium). Nonostante le 78 primavere, Ian McKellen sorprende e cattura perché possiede uno spirito giovane, teso perennemente alla ricerca della libertà, sia attraverso la sua arte che sposando cause importanti.

Sir McKellen, come mai ha deciso di realizzare questo documentario? È stato difficile convincerla a farlo?
Dirò solo che ho visto il primo film di Joe Stephenson intitolato “Chicken”, che tra l’altro consiglio, e quando mi ha detto che voleva fare un documentario su di me ho accettato. Il motivo è semplicemente che è un ottimo regista, non perché volessi parlare del sottoscritto, visto che non credo assolutamente di essere così interessante. È venuto a casa mia per le riprese e praticamente sono stato seduto per due giorni a raccontarmi. Direi che è stato piuttosto imbarazzante.

Nel documentario si parla anche della sua omosessualità, di come si sia battuto contro l’articolo 28 e per i diritti delle persone. In questi giorni ha fatto scalpore l’outing di Kevin Spacey. Pensa che le cose siano cambiate negli anni o è sempre tuttocome prima?
Credo che ammettere di essere gay sia la cosa migliore, è fondamentale essere sinceri con sé stessi. I miei amici addirittura mi dicevano, dopo che avevo fatto outing, che la mia recitazione era migliorata. Sicuramente ci sono molti motivi per cui una persona, oggi, decide di
non aprirsi. Gli attori, poi, pensano che se ammettono la propria omosessualità in seguito non riusciranno più a ottenere dei buoni ruoli. Il mio messaggio è: non abbiate paura! Dite apertamente ciò che siete. La mia parte di mondo, da quando ho deciso di farlo, è migliorata, e anche la mia carriera ne ha giovato.

Lei non ha figli, e nel documentario dichiara che ha deciso di dedicare tutte le sue energie al teatro e alla recitazione. Ha mai avuto ripensamenti a tal proposito? Ha mai pensato all’adozione? E pensare che all’epoca, fino ai miei 29 anni, era persino illegale per me avere dei rapporti sessuali, quindi l’idea di avere figli non mi sfiorava neppure. Ma avrei voluto? A essere sincero no, sono egoista e credo che una delle cose più belle dell’essere gay è il non rischiare di
averne, non devi occuparti di nessuno [ride, ndr]. Ho comunque un ottimo rapporto con i fan e molti di loro sono giovanissimi.
L’altro giorno ero in trattoria e una bambina di cinque anni si è avvicinata a me perché voleva salutare Gandalf. È stato fantastico e, come già detto, non mi devo occupare di lei, il che è ancora più bello.

Lei ha lavorato anche con Eduardo De Filippo. Che ricordo ha di lui?
Ah, De Filippo [sospira, ndr]. Più che italiano è napoletano, no? Ho recitato in due sue opere teatrali. L’ho incontrato negli Anni ‘60, quando ero a Milano su invito di Giorgio Strehler. Eduardo è una grande parte del mio cuore. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto lavorare nella sua compagnia, che adoravo.

Come è stato passare da ruoli teatrali sui palcoscenici più prestigiosi del mondo a personaggi cinematografici?
Ricordo di essere venuto a Cinecittà, molti anni fa, per fare due provini, di cui uno per “Barbarella”. In quell’occasione, ricordo anche che Jane Fonda in roulotte mi offrì uova e bacon [ride, ndr]. Il regista Robert Vadim però non mi prese, e credo che sia stata la mia fortuna.
Tornato a Londra iniziai a recitare con Judy Dench in diversi spettacoli shakespeariani, e credo di essermi preparato per il giorno in cui il passaggio al mondo cinematografico sarebbe accaduto, ossia quando avevo 60 anni. Ai giovani attori, dunque, mi sento di dire di non
aver fretta, di pensare a costruirsi la propria carriera passo dopo passo, senza preoccuparsi della fama. Credo che, per quanto mi riguarda, tutto mi sia capitato al momento giusto.

Da come racconta, lei è approdato alla settima arte piuttosto tardi. Il suo stile di recitazione è diverso tra teatro e cinema?
Sì e no. Quando reciti diventi un’altra persona, e quindi il mio modo di recitare cambia a seconda di chi interpreto. Un attore si rapporta primariamente al proprio personaggio. Ovvio che tra teatro e cinema ci sono delle differenze, però quando bisogna interpretare qualcuno l’atteggiamento è lo stesso. Ti scontri con il personaggio, tenti di diventarlo. In teatro puoi parlarne, ti eserciti, fai degli errori, e poi il pubblico viene a vederti e a quel punto gli riveli cosa succede. Nel cinema viene tutto filtrato dalla macchina da presa. Sul set convivi con lei, quindi la devi trattare con rispetto e considerarla un’amica. Ma il modo di entrare nel personaggio è esattamente lo stesso in entrambi i settori.

Il bello del mestiere dell’attore è anche il poter interpretare ruoli differenti. Può dirci un personaggio che ha interpretato che è il suo opposto, uno con cui ha affinità e uno che le piacerebbe interpretare?
Che domanda difficile! Non saprei proprio…Il mio modo di recitare cambia di continuo. In passato credevo che recitare volesse dire
nascondersi dietro una maschera o una risata buffa. Poi ho capito che recitare invece significa rivelare, non nascondere. Siamo tutti capaci di fare qualsiasi cosa ed è questo che rivelo con il mio recitare. Per me quindi non è affatto strano passare da Shakespeare a Magneto o Gandalf. Ritornando alla domanda non saprei proprio! [ride, ndr]. Mi piacerebbe interpretare Napoleone o Mussolini… E comunque, non mi è mai capitato di impersonare controvoglia dei personaggi.

Molti attori si lamentano che gli vengano proposti solo ruoli in blockbuster, mentre lei sembra divertirsi in tali film. Come si approccia a tali personaggi?
Mi piace molto diversificare le mie esperienze lavorative. Ho interpretato Gandalf quando avevo 60 anni e dopo quel ruolo mi sono arrivate solo proposte per interpretare anziani con la barba (tra cui Dio!). Ma non mi interessava, perché a me piace fare cose nuove, mai fatte prima. Adoro sperimentare, e infatti ho cercato di cimentarmi in tanti ruoli diversi, a teatro, al cinema e in tv… Diciamo che mi manca il musical. Quindi, se avete proposte…

Dopo tanti anni di carriera, c’è ancora qualcosa che le fa paura?
Dopo tanti anni come attore direi che non mi fa paura nulla… tranne la tecnologia [ride mentre cerca di far
funzionare l’apparecchio di traduzione simultanea, ndr]. Scherzo ovviamente. Beh, ho delle paure: paura dei politici, dei militari, delle
pallottole, della stupidità… ma quando lavoro non mi fa paura nulla. Sul palco o sul set vivo in mondi dove non ci sono pericoli. Recitare è davvero la cosa più bella del mondo, puoi lavorare con tanti amici e far divertire le persone. Il resto non importa…e dunque a che servono i figli?!