E' uscito "Mine vaganti". Intervista al regista F. Ozpetek

E' uscito "Mine vaganti". Intervista al regista F. Ozpetek

E’ la trama di Mine Vaganti, nuovo film di Ferzan Ozpetek passato con molto successo all’ultimo Festival di Berlino. Ora si appresta ad uscire in Italia in cinquecento copie (ma forse qualcuna di più) distribuito da Fandango. La novità è che, caso più unico che raro in Italia, alcune copie saranno sottotitolate per i non udenti. “Si tratta di una vera innovazione” ha esordito Domenico Procacci all’apertura della conferenza stampa di presentazione del film “che purtroppo, come sempre accade in Italia, non ha avuto nessuna eco sulla stampa. Eppure a noi sembra una iniziativa intelligente!”. La polemica si ferma qui, anche perché Ferzan Ozpetek ha l’urgenza di parlare della sua nuova fatica, un film che segna una rottura con il quartiere Ostiense di Roma, essendo girato prevalentemente a Lecce. Ed il cambiamento si sente. Ozpetek sembra essere tornato ad un cinema più vitale, come ai tempi de La Finestra di Fronte. Un film corale che ha come protagonista assoluto Riccardo Scamarcio, membro di un clan pugliese, considerato come un nucleo di “mine vaganti”. Scritto da Ozpetek e Ivan Cotroneo, utilizza la leggerezza della commedia, per tracciare il ritratto di una famiglia meridionale di oggi, considerata come un nucleo di “mine vaganti”, cercando di far cadere una serie di luoghi comuni molto radicati nella società italiana.

Come mai ha deciso di abbandonare il quartiere Ostiense per la Puglia?

Ho deciso di girare nel Salento, in Puglia, dopo una mia prima visita alla città di Lecce avvenuta otto anni fa. Mi attirava la classicità delle tradizioni. Ma anche la famiglia come nucleo indissolubile. Nel sud la famiglia è un vero clan, dove le cose “inaspettate”, possono davvero esplodere come mine vaganti.

Alla fine come può considerare la sua esperienza?

Confesso che dopo aver girato questo film a Lecce e nei suoi dintorni, mi sento più forte nell’affrontare la vita. Ho allargato la cerchia dei amici, che magari riunirò attorno ad una tavolata alla Ozpetek. Ma a parte gli scherzi sono proprio rimasto colpito da calore che ho trovato nel Salento.

Quanto c’è di biografico nella sceneggiatura scritta da Ivan Cotroneo?

Tanto e niente. La storia riflette in parte episodi della mia famiglia. Ho mischiato alcune storie di tre mie zie, poi un certo rapporto con mio padre. Ma alla base c’è un fatto realmente accaduto ad un mio amico: una confessione-rivelazione tra due fratelli, una cosa dalla quale questo mio amico ne è uscito distrutto. Ma questa volta non volevo parlare di cose tristi. Quindi ho chiesto ad Ivan di alleggerire la storia. Lui è stato molto bravo a dare un taglio da commedia all’italiana come non se ne scrivevano da tempo. Si ride e si riflette. Ed era proprio quello a cui miravo.

Nel film uno dei suoi protagonisti dice “Non siamo più nel 2000, siamo nel 2010”. Non ha fiducia nel periodo in cui viviamo?

Non è un frase messa a lì a caso. Nel 2000 eravamo pieni di speranze. Avevamo molto entusiasmo nell’arrivo del nuovo secolo. Accettavamo cose con molta più facilità ed eravamo più spontanei, più predisposti verso gli altri. Non c’era stato l’undici settembre. Adesso siamo diventati più sospettosi, più chiusi. Non è una cosa circoscritta all’Italia. Il mondo è cambiato. E sono passati solo dieci anni…

Nel film dà molto spazio alle donne… La loro forza muove le scelte dei protagonisti…

Come tutto nella vita. E’ una scelta voluta perché sullo schermo mi piace vedere il fascino. Tutte le donne lo hanno. Ma in questo film ho voluto evidenziare anche il “fascino” di certe cose che mi colpiscono. La semplicità, ad esempio. E come sempre l’amicizia…

Il film si chiude con un funerale ed un matrimonio. Una strana dicotomia…

E’ una scena importante. E’ stata la prima immagine che ho avuto mentre pensavo a questo film. Mi piaceva girare in simultanea una doppia scena, nella quale una donna va a sposarsi e nel frattempo viene portata al cimitero. Si tratta di due momenti importanti per una donna. E’ come se il cerchio di una vita continui all’infinto. Volendo è una scena sensuale per la sua completa vitalità.

Per questo film lei è stato accostato a Pietro Germi. Cosa ne pensa?

Naturalmente mi fa molto onore essere accostato ad un maestro del cinema italiano. Non lo so, forse il film ha un omaggio indiretto al suo cinema, ma forse si tratta di una semplice coincidenza. Con molta probabilità invece è che alcuni autori come Germi, ma anche Monicelli e Petri, mi hanno influenzato e certi elementi sono convogliati nel film. Certo è che sono cose si cui non avevo coscienza nel momento di girare. In tutta sincerità però, la cosa mi mette un po’ a disagio e provo anche un certo imbarazzo.

Roberto Leggio