La prima cosa bella di Virz

La prima cosa bella di Virz

Un po’ si piange e un po’ si ride con La prima cosa bella, ultimo film di Paolo Virzì, nelle sale dal prossimo venerdì; in contemporanea con l’uscita in grande stile (per battage pubblicitario e numero di sale) del colosso americano Avatar. Molto materiale, buoni sentimenti e un pizzico di nostalgia con una più sostanziosa dose di ottimismo; e insieme un bel tributo alla città natale del regista, Livorno.

La vicenda, articolata in tre periodi, racconta 40 anni di storia italiana (tra gli anni ’70 e i giorni nostri) analizzando la vita di Anna Nigiotti in Michelucci, una donna di luminosa bellezza e dal carattere vivace, e della sua famiglia. La troviamo giovane mamma (Micaela Ramazzotti) vincere quasi per acclamazione un concorso di bellezza: ‘Miss mamma-estate 1971’, tra l’imbarazzo del figlio Bruno e il disappunto del marito, il che fa esplodere la gelosia dell’uomo, fino a cacciarla di casa. La vediamo barcamenarsi con i bambini piccoli – 6 anni Valeria, 8 anni Bruno - tra alloggi provvisori e protettori interessati; lavori saltuari e fugaci ravvicinamenti con il marito, che però prova a riprendersi i figli e a metter su famiglia con la sorella di lei.

In un altro momento della vita, Anna (ancora Micaela Ramazzotti), è leggermente invecchiata, con i capelli raccolti, e i figli adolescenti. Infine ritroviamo Anna anziana (Stefania Sandrelli) in un reparto per cure terminali, ancora vivace e allegra, malgrado la grave malattia.

Tutta la storia è rievocata, attraverso l’uso del flash-back, da Bruno, ormai uomo fatto (Valerio Mastandrea) che ha scelto di allontanarsi da Livorno e lasciarsi alle spalle la famiglia che tanto l’ha segnato: è un uomo scontento e anaffettivo, continuamente in fuga.
Ma a causa della malattia della mamma, la sorella Valeria (Claudia Pandolfi) lo va a cercare e lo trascina, seppur riluttante, nella città natale e tra i ricordi del passato. Tra le stramberie e gli eventi inaspettati che quella mamma allegra e prorompente continua a propinare a tutta la famiglia.

L’impegno maggiore degli sceneggiatori (Francesco Bruni e Francesco Piccolo, oltre allo stesso Virzì) è stato quello di sintetizzare gli eventi salienti di tre stagioni della vita familiare. Non vengono mai richiamati aspetti sociali o politici, anche se gli eventi si svolgono in anni cruciali.

Una moltitudine di attori (6 + 1..!) ad impersonare i figli, mentre per il personaggio di Anna si è fatta la scelta di due diverse attrici.
Scommessa non completamente vinta, malgrado la bravura di entrambe le attrici, per la forte caratterizzazione di personalità e di aspetto fisico di ciascuna di esse. Mentre funziona bene l’alchimia tra Stefania Sandrelli e Valerio Mastandrea: madre svitata, di un’allegria contagiosa, e figlio ‘musone’ e irrisolto (anche il Bruno bambino è perennemente imbronciato). Così come è credibile il rapporto tra fratello e sorella da adulti (Mastandrea/Pandolfi).

Il film è una bella rivisitazione - o un tardo epigono - del genere ‘commedia all’italiana’, alla maniera di Scola più che di Monicelli vista l’assenza del suo proverbiale e dissacrante cinismo.

A differenza di altri film di Virzì, più comici ma con uno sfondo in definitiva pessimista, qui sembra l’ottimismo la cifra dominante, pur tra le ugge del presente e gli inevitabili dolori della vita. Forse in diretta relazione - nel mondo reale, alla conferenza stampa di presentazione del film - con la presenza del regista e della giovane moglie (nonché attrice co-protagonista) Micaela Ramazzotti, con un pancione da gravidanza avanzata.
Si insiste sui buoni sentimenti e su una visione della vita allegra e positiva, ma – per citare un Virzì d’annata (1997) - la leggerezza e la Livorno di ‘Ovosodo’ erano un’altra cosa.

Sandro Russo